Digesting Net - La morale televisiva
Buon sabato,
nell’attesa di rileggerci il 9 settembre prossimo, ecco un’antologia ragionata dei miei interventi finali.
Non dimenticate di acquistare il mio romanzo (disponibile anche in e-book).
Statemi bene,
Alessandro Loppi (*)
Face Value (prima parte)
Ogni tanto, mi accanisco su una serie televisiva e non riesco a staccarmene finché non la finisco. In questi mesi, sta toccando a “Criminal Minds”, le avventure di un gruppo di profiler dell’FBI alle prese con serial killer sempre più sofisticati.
Nella sua non credibilità - che proprio per questo la rende godibile e a tratti anche notevole, presenta una filosofia del team che io adoro.
Fiducia nel leader, fiducia nelle capacità del gruppo, fiducia nelle capacità dei singoli, rispetto per le gerarchie, rispetto per l’avversario, rispetto del lavoro di chi non è altrettanto esperto, collaborazione e cooperazione spontanee e senza distinguo.
A guardarle di sfuggita, potrebbero sembrare bieche caratteristiche militari. A me sembrano qualità valide anche in un’azienda, anche tra amici, anche in famiglia.
Ma quello che quasi mi esalta è quanto accade in ogni episodio durante l’avvio delle indagini: a ogni componente il gruppo vengono consegnati gli stessi indizi, dozzinali perché iniziali; ognuno dice la sua, accettando che la sua teoria venga messa in dubbio, anche cassata; ognuno ascolta l’altro, argomentando eventualmente contro, sempre in maniera costruttiva e mai stucchevole o arrogante. Nessuno si impermalisce, nessuno prevarica, nessuno si prende il merito dell’altro, nessuno la butta in caciara.
Peccato sia “solo” una serie televisiva…Face Value (seconda parte)
In questi giorni, su una piattaforma privata trovate la serie Rabbit Hole, tipico thrillerone pieno di colpi di scena, un po’ ritrito ma godibile.
Il protagonista è interpretato da Kiefer “Naso a patata” Sutherland, che avevamo già apprezzato in 24, altro thrillerone lungo ennetante stagioni, che ha una caratteristica fascinosa (e probante, almeno per gli sceneggiatori e il direttore della fotografia): il tempo reale e quello della fiction corrispondono. Ecco perché si chiama 24: come le 24 ore di una giornata, dipanate lungo 24 episodi a stagione. Visto che ci siamo: le prime quattro sono eccellenti; le successive cinque, invece, calano inesorabilmente.
E proprio in 24, nei momenti cruciali, quando il nostro eroe è in balìa di ferocissimi cattivi, quando tutto è perduto e il mondo sta per collassare, quando ogni essenza umana si disperde nella ferocia del Male più assoluto, l’eroe senza paura guarda il suo aguzzino e gli dice… «please»!
E allora, dove vanno a finire la dignità, il voler cadere in piedi, il dover cadere sempre e comunque in piedi (i buoni non si spezzano mai)?
Secondo me, dietro a questo si nasconde una tendenza culturale tipicamente anglosassone: bisogna saper riconoscere le sconfitte - seppur temporanee; bisogna saper riconoscere la superiorità altrui - magari temporanea.
Ci vedo ben poco di strategico: anche perché non è detto che il buono conosca perfettamente la sua sorte; e poi, sono sempre più convinto che questi minuscoli dettagli secondari nascondano un comune sentire che contraddistingue la cultura cui si rivolge il prodotto televisivo.
È una lezione di coraggio, insommaFace Value (terza parte)
La scorsa newsletter ho fatto un’allusione al “naso a patata” di Kiefer Sutherland: subito mi è venuto in mente quello di Meghan Markle, la duchessa di Sussex.
Prima di appendere la recitazione al chiodo, è stata anche protagonista della serie Suits: durata nove stagioni, è un legal drama che parte benissimo, ma che poi si perde dopo una trentina di episodi tra urla, minacce, urla, tradimenti, urla, vendette, urla,sesso, urla, trame incasinate e… urla.
Eppure, c’è un elemento che ritorna spesso e che colpisce anche il più annoiato degli spettatori; elemento che troviamo di frequente in molti film non per forza di genere, e che però in questo caso è più evidente: l’importanza della la parola detta.
La scena tipo procede più o meno così:
- una persona viene interrogata (attenzione: non per forza in contesti polizieschi o in una stanza chiusa)
- chi la interroga non ha ancora prove concrete a favore o strumenti di ricatto
- l’interrogato potrebbe uscirne con una bugia
- oppure potrebbe uscirne restando addirittura in silenzio, proprio perché non esiste prova concreta alcuna
- e, invece, dice la verità, anche se lo danneggerà
Spesso mi sorprendo nel dire - pentendomi dopo un microsecondo: «ma che ti costa dire una bugia, o almeno una mezza verità?». E, invece, no: la verità va detta sempre, anche se costa qualcosa.
Ora, non credo che nella vita reale le cose andrebbero nello stesso modo: però è un nodo evidentemente culturale che fa riflettereFace Value (quarta parte)
Lo sappiamo, Star Trek ha preceduto la tecnologia attuale in più di un'occasione, ma raramente si parla anche di un certo coraggio culturale (specie agli inizi) che ha anticipato di molto alcuni temi che ancora oggi, nella vita reale, hanno difficoltà ad affermarsi.
Ad ogni curiosità che leggete qui sotto, dovreste aggiungere “per la prima volta nella storia della televisione”.
- nella cosiddetta Serie Classica (1966, 3 stagioni), abbiamo un bacio interraziale tra il Comandante (bianco) e l’addetta alle comunicazioni (nera)
- in Next Generation (1994, 7 stagioni), una donna ricopre il ruolo di Capo della Sicurezza, l’Ingegnere Capo è nero e non vedente, l’Ufficiale Medico Capo è una donna… a dirla tutta, uno degli ufficiali è un androide
- in Deep Space Nine (1993, 7 stagioni), il comandante della base è nero; una delle sue attendenti ha un simbionte nel corpo che ciclicamente trasmigra da corpi maschili a corpi femminili, tanto che in un episodio il suo attuale involucro femminile bacia un’altra donna con il cui simbionte aveva avuto una relazione quando era in un involucro maschile
- in Voyager (1995, 7 stagioni), il comandante è una donna
- in Discovery (2017, in corso), una delle comandanti è nera e donna: abbiamo poi una coppia di gay sposati e un non-binario (interpretato da un non-binario)
- in Strange New Worlds (2022, in corso, le cui vicende precedono quelle della Serie Classica), una delle due timoniere è lesbicaFace Value (quinta parte)
Da anni, un fuffarolo ha successo online proponendo ogni giorno considerazioni così banali e inutili che vorrei abbracciarlo perché ci vuole un certo coraggio a essere così fuffici.
Qualche giorno fa, concludeva un suo intervento con “ma chi sono io, il figlio della serva?”, adagio classista che ho sempre trovato fuori luogo, ben prima del politically correct.
Ebbene, per un curioso aggrovigliarsi di collegamenti mentali, mi è venuta subito in mente la serie Glee (2009, 6 stagioni).
C’è di tutto.
- Un disabile in carrozzina che canta e suona
- Una ballerina bravissima che ha l’Asperger ed è bisessuale. A latere: si fidanza col suddetto ragazzo in carrozzina, ma lo lascia quando lui la definisce “stupida”. Stupida lo sarà pure, secondo certi parametri da fuffaroli (ha la media dello zero e spara sempre battute fuori luogo), ma quelli del MIT la assumeranno a vita perché sa fare calcoli inverosimili e in pochissimi secondi
- La preside è lesbica (e fascista) e ha come attendente una ragazzina con la Sindrome di Down di rara cattiveria (gli sceneggiatori non vanno per il sottile, presentandola come una str@@za all’ennesima potenza). In una delle ultime stagioni, un bellissimo ragazzo “normale” si innamora di questa Down, sorprendendo lei per prima
- Un bullo omofobo che poi scopre di essere gay
- Una coppia gay che riuscirà a sposarsi
- Una coach lesbica che vuole operarsi per diventare maschio
- Una ragazza madre che affida suo figlio alla mamma del suo ex ragazzo
- Una cantante bisessuale
- Una cantante obesa
Glee ha avuto un successo incredibile con tanto di numerosi tour in giro per i paesi anglofoni. Le trame sono esili, a volte irritanti; ma il loro punto di forza sono le canzoni (almeno 10 per ogni episodio), cantate quasi sempre a cappella da questo gruppo di “diversi” che i fuffaroli userebbero invece come insulto.
Gli USA sono un paese dalle mille contraddizioni, ma poi dimostrano anche coraggio nel tirar fuori operazioni simili (rifatevi all’epoca: 2009!).
Sono convinto che da quelle parti se un fuffarolo avesse fatto una battutaccia sui figli delle serve (e sulle serve), avrebbe subito perso credibilità e visibilità