Buon sabato,
alla fine, ItsArt è fallita.
Del resto, lo era in partenza, anche e solo perché in Italia esiste già una piattaforma al servizio dello Stato, che svolge le stesse funzioni e molto più.
Sono stati sprecati almeno 7,5 milioni di euro pubblici, che potevano essere spesi in ben altro modo.
Lo sappiamo, il copione è sempre lo stesso: con lo scudo ipocrita di un “ricatto” di partenza (in questo caso, la cultura-per-tutti e il lavoro-per-gli-artisti-precari), è stata finanziata un’idea vaga piena di pecette, certi dell’indifferenza di giornalisti, intellettuali e politici.
Soldi buttati via - ché tanto non sono di nessuno - e del cui spreco nessuno pagherà mai le conseguenze, neanche come immagine pubblica e/o credibilità politica; anche perché domani a qualcun altro verrà in mente qualcosa di altrettanto fallimentare in partenza, con le stesse modalità egoriferite e le identiche garanzie di silenzio e impunità.
Statemi bene,
Alessandro Loppi (*)
STORIE
Gli inuit del Canada usano decine di parole diverse per chiamare la neve, a seconda della sua consistenza, della posizione, dell’esposizione agli altri elementi e dell’uso che se ne fa. In questo documentario la regista inuit Rebecca Thomassie, del remoto villaggio di Kangirsuk, nel Québec, chiede a un anziano del posto, Tommy Kudlak, di insegnarle questi termini per poterli trasmettere poi alla figlia di tre anni [da Internazionale]
MEDIA
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INTELLIGENZA ARTIFICIALE E DINTORNI
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SOCIAL
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COSE NOTEVOLI
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SPIGOLATURE
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GLI AMICI SE NE VANNO
Owen Roizman, direttore della fotografia
Adolfo Kaminsky, fotografo e falsario a fin di bene
Dušan “Charles” Simić, poeta (per una bibliografia illuminata, cliccate qui e qui)
Marco Tropea, editore e molto altro
Achille Mauri, editore e molto altro anche lui
Jeff Beck, LA chitarra
SCIENZA
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Covid-19, la variante XBB.1.5 è stata chiamata "Kraken", come il celebre mostro marino (o come uno dei più diffusi fornitori di criptovaluta): ecco perché è molto contagiosa
A MODO MIO
Uno dei trucchi che uso per riportare i nostri gattoni in un ambiente sicuro è agitare una striscia di velluto, intonando l’incipit di “Koyaanisqatsi”, la straordinaria colonna sonora di Philip Glass del film omonimo: i due mi vengono incontro festosi, sicuri di poter ghermire quella povera striscetta. Non mi chiedete quale sia il nesso, ma l’espediente funziona ed è diventato un appuntamento fisso.
Certo è che dietro quella musica e quelle immagini si intravede una generazione che ancora sapeva affermare le proprie idee con l’arte, anziché brutalizzare l’arte per esprimere le proprie idee.
L’opera in sé è un film sperimentale (il primo del genere, che in fondo copiamo tutti ancora oggi), il cui regista Godfrey Reggio cercò di rappresentare il modernismo, la società occidentale e la crisi climatica con filmati che parlano da soli, senza commento alcuno: riprese straordinarie, sincronizzate amabilmente con le note (o sulle note) di Glass, in cui l’afflato ecologista, l’empatia ambientalista, il monito costruttivo e argomentato, funzionano perfettamente, senza retorica e senza ipocrisie.
Era il 1982: quando uscì nelle sale, il film ebbe un successo inaspettato, che andò oltre la nicchia dei nerd dell’epoca, tanto che quando nascerà Videomusic qualche anno dopo, ne proporrà alcuni passaggi in ogni possibile fascia oraria, forse perché il pubblico televisivo era più accogliente, forse perché i linguaggi e le piattaforme di allora erano limitatissimi - e ogni novità doveva avere in sé anche una professionale credibilità, che sapesse stimolare, incuriosire, arricchire.
Quella formula immagini+musica funzionò a tal punto che il duo Reggio/Glass propose due seguiti (nel 1988 e nel 2002), trasformando l’operazione in una trilogia (con una sorta di corollario - 1991, sponsorizzato dal WWF).